Duemila persone, di cui alcuni italiani che avrebbero per questo già versato consistenti anticipi in danaro, pare siano interessate all’ibernazione, a far cioè sì che il proprio corpo venga criopreservato per almeno qualche decennio, in attesa di tempi migliori. Un interesse al quale corrisponde un nascente che mercato, composto già da due società americane, due in Europa ed una in Russia pronte a soddisfare i desideri degli aspiranti immortali. Ora, nulla contro le immersioni nell’azoto liquido a meno 196 gradi, ma ritengo che questo interesse verso l’ibernazione sia vagamente ridicolo, non essendo che l’evoluzione della patetica tendenza che porta molti e molte – su questo la sospirata parità dei sessi è vicina – a gettarsi fra le braccia della chirurgia plastica pur di non invecchiare.
Senza contare che farsi scongelare, mettiamo, fra un secolo comporterebbe tutta una serie di criticità, prima fra tutte quella – che forse gli ibernandi non considerano adeguatamente – di ritrovarsi a vivere senza più gli amici di sempre, nel frattempo morti e sepolti. E poi come la mettiamo con la possibilità che in futuro possano non esistere più la Nutella, lo spritz o la pizza cotta nel forno a legna? No, non ce la farei a vivere in un mondo così. Battute a parte, il desiderio di vivere per sempre è comprensibile. Però vivere di più non garantisce di vivere meglio, allungare non è il sinonimo di allargare o di intensificare. E quello di cui oggi c’è maggiormente bisogno, forse, è proprio dare più significato e non più tempo alla nostra esistenza. Perché di tanto spazio attorno a sé nessuno sa che farsene, quando ignora l’orizzonte da seguire.
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